Un modello evoluto per lo studio della redditività - Pt. 1
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Il più importante tra gli indici di redditività è senza dubbio il ROE (Return On Equity), un indice economico che misura la redditività del capitale proprio.
Effettueremo un vero e proprio viaggio all’interno di questo indicatore, scomponendolo in base a livelli crescenti di profondità, a partire da quella che è la sua formulazione classica, data da:
1° LIVELLO DI ANALISI
Al pari degli altri indici di redditività, il ROE mette a confronto grandezze economiche (il Risultato dell’esercizio) con grandezze patrimoniali (l'Equity), per cui esso esprime in un certo senso la resa (valore economico) di un determinato fattore utilizzato (valore patrimoniale).
In altre parole, il ROE risponde alla domanda “quanto rende il capitale conferito dai soci?”.
La sua popolarità deriva dal fatto che fornisce – con un unico dato – non solo un giudizio sulla bontà dell’operato del management, ma anche una sintesi dell’economicità dell’impresa nel suo insieme: il numeratore, infatti, essendo l’ultima riga del Conto economico, comprende non solo il risultato della gestione operativa dell’impresa (gestione corrente e gestione degli investimenti), ma anche di quella non operativa (gestioni finanziaria, straordinaria e fiscale).
Volendo essere più precisi nella sua formulazione, in presenza di cambiamenti significativi nel Patrimonio Netto da un esercizio all’altro, per determinare in modo più veritiero la redditività del capitale proprio nell’anno t si potrebbe utilizzare al denominatore il valore medio dell’Equity, in questo modo:
Per la nostra trattazione, trascureremo questa particolare considerazione e svilupperemo tutti i nostri calcoli sulla formula classica vista in precedenza, senza alcuna perdita di significatività nelle conclusioni che andremo a trarre.
Attraverso lo schema DuPont (dal nome dell’impresa chimica statunitense DuPont Corporation che per prima utilizzò questa misura della performance nel lontano 1914 su iniziativa del suo CFO Donaldson Brown) è possibile scomporre il ROE in più indici, in modo da comprendere meglio le dinamiche aziendali che ne influenzano il valore e permettere:
- confronti nel tempo (ad esempio indagare le cause della riduzione della redditività tra l’anno t – 2 e l’anno t);
- analisi settoriali (ad esempio confrontare le proprie prestazioni con quelle dei diretti competitor).
La prima scomposizione che possiamo effettuare, a partire dalla formula originale del ROE, è la seguente (si moltiplica numeratore e denominatore per il Totale impieghi):
2° LIVELLO DI ANALISI
Ovvero, in termini di indicatori:
ROE = ROA x Moltiplicatore Equity
In questo 2° livello, il ROE può essere visto come la risultante di due indici:
- il ROA (Return On Assets), una misura di redditività delle attività dell’impresa, ottenuta mettendo a confronto il Risultato netto con il totale degli assets aziendali (un ROA del 10% significa che ogni euro di capitale investito nell’impresa rende 10 centesimi);
- il Moltiplicatore dell’Equity, ottenuto rapportando gli impieghi al capitale di rischio; dato che il totale degli assets (Impieghi) è uguale al totale delle Fonti, cioè:
Impieghi (= Fonti) = Equity + Debito oneroso
Dividendo tutti i fattori per l'Equity, tale moltiplicatore può riscriversi come:
che rappresenta una misura del grado di leverage adottato dall’impresa. Tutto ciò è coerente col fatto che, come vedremo tra poco, a certe condizioni e cioè con:
ROI > Costo del debito
il livello di indebitamento ha un effetto leva positivo sul ROE.
A proposito dell’effetto leva e delle sue ripercussioni sulla redditività del capitale proprio, si ricorda infatti che il ROE può essere opportunamente riscritto, dopo una serie di semplici passaggi, nel seguente modo:
FORMULA DI MODIGLIANI–MILLER
Dove:
- ROI (Return On Investments) = EBIT / Totale impieghi
- i = costo del debito oneroso
- t = aliquota fiscale
- s = incidenza della gestione straordinaria
Questa formula dimostra quanto affermato precedentemente, cioè che nel caso di uno spread positivo tra ROI e costo del debito, è possibile utilizzare la leva finanziaria per aumentare il rendimento del capitale proprio. Infatti, la formula di Modigliani–Miller evidenzia come, con un ROI maggiore del costo del debito, all’aumentare della leva finanziaria (Debito oneroso/Equity) aumenta in modo proporzionale anche il ROE, dando origine a ciò che viene comunemente chiamato effetto leva (è chiaro che occorre comunque tenere sempre ben presente il rischio finanziario connesso all’indebitamento e a un suo uso eccessivo!).
Al contrario, in caso di ROI inferiore al costo del debito, occorre cercare di non utilizzare – o quantomeno di farlo il meno possibile – il ricorso all’indebitamento e di favorire invece l’utilizzo del capitale proprio, per non rischiare di mettere in serio pericolo l’equilibrio economico dell’impresa.
Abbiamo visto finora i primi due livelli dello schema DuPont, e la formula di Modigliani–Miller, necessaria a comprendere un concetto molto importante legato al ROE e alla sua scomposizione in livelli successivi: quello di leva finanziaria.
Nei prossimi contributi continueremo nella scomposizione della formula del ROE in livelli di profondità sempre maggiori, e vedremo infine un caso pratico per capire meglio le potenzialità di analisi dello schema DuPont.